mercoledì 15 giugno 2016

"The Neon Demon" di Nicolas Winding Refn


“Beauty isn’t everything. It’s the only thing.”
“La bellezza non è tutto. È l’unica cosa”.
Una delle frasi più potenti e che più caratterizzano l’ultima opera di Nicolas Winding Refn. Il mondo della moda, a un livello particolarmente elevato, è malato, talmente malato da fagocitare qualsiasi cosa gli si pari davanti... anche un essere candido e puro come la protagonista dell’ultimo film del regista danese.
Ladies and Gentlemen, per la regia di Nicolas Winding Refn, “The Neon Demon”.


Cosa potrebbe accadere se alcune donne, belle ma talmente finte da renderle quasi dei cyborg, e che, inoltre, si trovano alla fine del percorso della loro bellezza, ne incontrano una più giovane e dalla bellezza purissima? È questa la domanda che il regista ci vuole porre descrivendo, con il suo taglio inconfondibile, un mondo allucinante, straniante, alienante e particolarmente malato come quello dell’alta moda losangelina.

A Refn non interessa diventare il volto del cinema commerciale europeo, anzi, questa prospettiva lo sconvolge, esattamente come successe dopo il grandissimo successo di “Drive”. Decide, quindi, di sbattersene e di mettere in scena, prima, una revenge-story ermetica e implicita come quella raccontata in “SoloDio perdona” e poi, mutare ulteriormente dirigendo una specie di teen horror movie sulla bellezza e sull’ossessione della bellezza come “The Neon Demon”
Il risultato, a livello di critica, è il medesimo: fischi tanto assordanti, quanto immeritati, al festival di Cannes. Obiettivo riuscito per l’occhialuto regista danese. 
“È lui la reazione”.

Refn sposta, completamente, la sua attenzione: il ruolo trasversale, affidato sempre a delle affascinanti e perverse donne, in questo film viene dato ai personaggi maschili di un Keanu Reeves particolarmente badass, di un Desmond Harrington freddo e distaccato e di un Alessandro Nivola insensibile alla, ormai, consueta bellezza finta e costruita che gira a Los Angeles; si passa dagli uomini, come fulcro della storia, a delle donne, delle giovanissime e bellissime donne come punto focale; dalla vendetta, si passa al cannibalismo mentale e conseguentemente fisico; dalla morbosità eterosessuale maschile, si passa ad una morbosità omosessuale, esclusivamente femminile, che finisce per declinare nella necrofilia.



Refn gioca. Refn gioca con gli opposti: 
Impurità – Purità; 
Oscurità – Luminosità; 
Corruzione – Verginità.
Jessie (interpretata da una bellissima e virginale Elle Fanning), incarna perfettamente l’ingenuità in tutte le sue sfaccettature. Jessie non ha alcun talento particolare, ma piace a tutti. Jessie è vergine. Jessie ha sedici anni ma deve mentire dicendo di averne diciannove, “perché diciotto darebbe troppo nell’occhio”. Jessie è luce, Jessie è carne fresca, Jessie è il sangue nuovo che eccita il mondo dell’alta moda di Los Angeles. Una Los Angeles vuota, scarna, minimalista e tutta da riempire (un po’ come tutto il film), ma soprattutto una Los Angeles corrotta. È corrotta, proprio come le tre ragazze che circondano la vita di Jessie fin dal primo istante in cui mette piede sul terreno della metropoli californiana. L’ossessione primordiale che queste ragazze (interpretate da Jena Malone, Bella Heathcote e Abbey Lee) hanno nei suoi confronti, che sia pulsione sessuale, invidia o paura, è incredibilmente raggelante. Ognuna di queste ragazze vedrà i propri sogni, le proprie passioni e i propri desideri infrangersi in mille pezzi, mentre la biondina proveniente da una piccola cittadina della Georgia, pura ed ingenua, scalerà le gerarchie in pochissimo tempo, corrompendo, in questo modo, quella bellissima e brillante luce che aveva portato con sé a Los Angeles.


“The Neon Demon” lancia un messaggio duro, crudo e cattivo, con una messa in scena assolutamente particolare: un dramma scandito con dei ritmi da horror e con un finale, amarissimo, che è un pugno allo stomaco. Diretto con un’estrema lucidità e chiarezza, Refn rende questo film ai limiti del blasfemo, il tutto caratterizzato da due elementi incredibilmente ispirati che trasformano questo film in un'esperienza audiovisiva: la fotografia e la colonna sonora.
La fotografia, che attinge a piene mani a quella di “Suspiria”, e in parte minore ad "Inferno", di Argento (cui Refn si è ispirato non solo a livello visivo), con dei fortissimi contrasti tra questi neon spraflashati rossi e blu che danno alla pellicola un tocco di neopsichedelia in un mondo iper-minimalista, contemplativo e carico di simbolismi forti e intensi.
La colonna sonora, invece, è davvero un pezzo da novanta.
Ormai, Martinez sta diventando per Refn, quello che Badalamenti è per LynchFONDAMENTALE per lo stile e la poetica del regista.
Sonorità che spaziano dalla disco music anni ’70 ad altre che ricordano il sound of the future del nostro Giorgio Moroder, passando per dei beat più techno fino a giungere ai titoli di coda (tra l’altro bellissimi) accompagnati dal pezzo synthpop “Waving Goodbye” dell’australiana Sia.
Un tourbillon audiovisivo dal glamour particolarmente spiccato, in pieno contrasto con la durezza e la crudezza di questa Los Angeles silenziosa e pungente.


Un po’ come il nostro Sorrentino, Nicolas Winding Refn sta diventando un regista-icona (non è stato messo a caso il marchio NWR a inizio film) costruendo delle opere che hanno un loro assetto estetico e stilistico ben preciso. Refn confeziona un film difficile, molto difficile che, quasi sicuramente, ai più non piacerà, ma che oggettivamente è una pellicola di altissimo spessore dove il livello artistico di Refn raggiunge il suo picco massimo e dove il messaggio lanciato s’insinua nelle menti degli spettatori come un felino affamato di carne fresca.

2 commenti:

  1. È stato difficile trovare qualcuno che avesse capito il film davvero. Condivido ogni singola parola.

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    1. Grazie mille :D
      Comunque ho cambiato piattaforma, se vuoi seguirmi, il mio blog ha questo indirizzo :D

      https://mgrexperience.wordpress.com/

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