“Beauty isn’t everything. It’s the
only thing.”
“La bellezza non è tutto. È l’unica
cosa”.
Una delle
frasi più potenti e che più caratterizzano l’ultima opera di Nicolas Winding Refn. Il mondo della
moda, a un livello particolarmente elevato, è malato, talmente malato da
fagocitare qualsiasi cosa gli si pari davanti... anche un essere candido e puro come la protagonista
dell’ultimo film del regista danese.
A Refn non interessa diventare il volto del cinema commerciale europeo, anzi, questa prospettiva lo sconvolge, esattamente come successe dopo il grandissimo successo di “Drive”. Decide, quindi, di sbattersene e di mettere in scena, prima, una revenge-story ermetica e implicita come quella raccontata in “SoloDio perdona” e poi, mutare ulteriormente dirigendo una specie di teen horror movie sulla bellezza e sull’ossessione della bellezza come “The Neon Demon”.
Il risultato, a livello di critica, è il medesimo: fischi tanto assordanti, quanto immeritati, al festival di Cannes. Obiettivo riuscito per l’occhialuto regista danese.
“È lui la reazione”.
Refn sposta, completamente, la sua attenzione: il ruolo trasversale, affidato sempre a delle affascinanti e perverse donne, in questo film viene dato ai personaggi maschili di un Keanu Reeves particolarmente badass, di un Desmond Harrington freddo e distaccato e di un Alessandro Nivola insensibile alla, ormai, consueta bellezza finta e costruita che gira a Los Angeles; si passa dagli uomini, come fulcro della storia, a delle donne, delle giovanissime e bellissime donne come punto focale; dalla vendetta, si passa al cannibalismo mentale e conseguentemente fisico; dalla morbosità eterosessuale maschile, si passa ad una morbosità omosessuale, esclusivamente femminile, che finisce per declinare nella necrofilia.
Refn gioca. Refn gioca con gli opposti:
Impurità – Purità;
Oscurità – Luminosità;
Corruzione – Verginità.
Impurità – Purità;
Oscurità – Luminosità;
Corruzione – Verginità.
Jessie
(interpretata da una bellissima e virginale Elle
Fanning), incarna perfettamente l’ingenuità in tutte le sue sfaccettature. Jessie
non ha alcun talento particolare, ma piace a tutti. Jessie è vergine. Jessie ha
sedici anni ma deve mentire dicendo di averne diciannove, “perché diciotto darebbe troppo nell’occhio”. Jessie è luce, Jessie
è carne fresca, Jessie è il sangue nuovo che eccita il mondo dell’alta moda di
Los Angeles. Una Los Angeles vuota, scarna, minimalista e tutta da riempire (un
po’ come tutto il film), ma soprattutto una Los Angeles corrotta. È corrotta, proprio
come le tre ragazze che circondano la vita di Jessie fin dal primo istante in
cui mette piede sul terreno della metropoli californiana. L’ossessione
primordiale che queste ragazze (interpretate da Jena Malone, Bella Heathcote
e Abbey Lee) hanno nei suoi confronti,
che sia pulsione sessuale, invidia o paura, è incredibilmente raggelante.
Ognuna di queste ragazze vedrà i propri sogni, le proprie passioni e i propri
desideri infrangersi in mille pezzi, mentre la biondina proveniente da una
piccola cittadina della Georgia, pura ed ingenua, scalerà le gerarchie in
pochissimo tempo, corrompendo, in questo modo, quella bellissima e brillante
luce che aveva portato con sé a Los Angeles.
“The Neon Demon” lancia un messaggio duro, crudo e
cattivo, con una messa in scena assolutamente particolare: un dramma scandito
con dei ritmi da horror e con un finale, amarissimo, che è un pugno allo
stomaco. Diretto con un’estrema lucidità e chiarezza, Refn rende questo film ai limiti del blasfemo, il tutto caratterizzato
da due elementi incredibilmente ispirati che trasformano questo film in un'esperienza audiovisiva: la fotografia e la colonna sonora.
La
fotografia, che attinge a piene mani a quella di “Suspiria”, e in parte minore ad "Inferno", di Argento
(cui Refn si è ispirato non solo a
livello visivo), con dei fortissimi contrasti tra questi neon spraflashati rossi
e blu che danno alla pellicola un tocco di neopsichedelia
in un mondo iper-minimalista, contemplativo e carico di simbolismi forti e
intensi.
La colonna
sonora, invece, è davvero un pezzo da novanta.
Ormai, Martinez sta diventando per Refn, quello che Badalamenti è per Lynch: FONDAMENTALE per lo stile e la poetica del regista.
Sonorità che spaziano dalla disco music anni ’70 ad altre che ricordano il sound of the future del nostro Giorgio Moroder, passando per dei beat più techno fino a giungere ai titoli di coda (tra l’altro bellissimi) accompagnati dal pezzo synthpop “Waving Goodbye” dell’australiana Sia.
Un tourbillon audiovisivo dal glamour particolarmente spiccato, in pieno contrasto con la durezza e la crudezza di questa Los Angeles silenziosa e pungente.
Ormai, Martinez sta diventando per Refn, quello che Badalamenti è per Lynch: FONDAMENTALE per lo stile e la poetica del regista.
Sonorità che spaziano dalla disco music anni ’70 ad altre che ricordano il sound of the future del nostro Giorgio Moroder, passando per dei beat più techno fino a giungere ai titoli di coda (tra l’altro bellissimi) accompagnati dal pezzo synthpop “Waving Goodbye” dell’australiana Sia.
Un tourbillon audiovisivo dal glamour particolarmente spiccato, in pieno contrasto con la durezza e la crudezza di questa Los Angeles silenziosa e pungente.
È stato difficile trovare qualcuno che avesse capito il film davvero. Condivido ogni singola parola.
RispondiEliminaGrazie mille :D
EliminaComunque ho cambiato piattaforma, se vuoi seguirmi, il mio blog ha questo indirizzo :D
https://mgrexperience.wordpress.com/