Aveva quasi trentacinque
anni quando il maestro del brivido firmò
il film che, di lì a poco, lo avrebbe consacrato nell’universo cinematografico
mondiale. Il successo, sia di pubblico sia di critica, fu incredibile. Argento fu soprannominato l’Hitchcock italiano entrando, di diritto
e in pochissimo tempo, nella stratosfera del Cinema mondiale.
Ladies and
Gentlemen, per la regia di Dario Argento,
“Profondo Rosso”.
Parlare di “Profondo Rosso” significa discutere di
molte cose.
Significa,
innanzitutto, parlare del giallo all’italiana per antonomasia. Significa
parlare del film più famoso di Dario
Argento. Significa parlare del monumento mondiale per eccellenza del genere
thriller/horror. Significa, soprattutto, parlare dell’opera che ha segnato,
all’interno del percorso artistico del maestro
del brivido, il passaggio fondamentale tra la fase thriller, alla quale
appartiene la trilogia degli animali
(“L’uccello dalle piume di cristallo”,
“Il gatto a nove code”, “4 mosche di velluto grigio”), e quella
puramente horror cominciata con quel Capolavoro artistico che prende il nome di
“Suspiria”.
È, stilisticamente,
un film “di passaggio”, ed essendo tale riesce ad essere meravigliosamente
unico e perfettamente dualista in ogni sua singola sfaccettatura. Il maestro
del brivido dirige un film con due anime ben distinte che s’incastrano, si
alternano e si fondono in maniera magistrale, proprio come lo yin e lo yang: c’è
l’horror e c’è il thriller; c’è il rock progressive (i Goblin) e c’è il jazz (Giorgio
Gaslini); c’è il protagonista Marc e c’è il suo miglior amico Carlo, con la
loro visione dell’arte diametralmente opposta; c’è eleganza e raffinatezza, ma c’è
anche il marcio e lo sporco; c’è il fantastico (la medium, i fantasmi della
villa) e c’è l’orrore tangibile, fisico e terreno legato ad un contesto
realistico.
Con “Profondo rosso”, Argento è alla piena maturità registica ed è perfettamente conscio
del proprio smisurato talento. Usa la macchina da presa in maniera
indiscutibilmente perfetta, alternando delle artistiche inquadrature fisse a
movimenti di macchina incredibilmente eleganti con un montaggio a dir poco
meraviglioso.
Le scene
degli omicidi sono incredibili, uniche e particolari. Non seguono e non vogliono
seguire una logica realistica vivendo in una dimensione propria, tanto macabra
quanto splendida. Lo svolgimento è irreale con questa lunghissima preparazione
a quello che sarà l’omicidio vero e proprio, grazie ad un montaggio, man mano
sempre più serrato, e a un accompagnamento musicale che aumentano la tensione
in maniera lenta ma inesorabilmente costante fino ad arrivare al climax,
all’omicidio, al festival della ferocia: splatter, sangue, gore e cattiveria
allo stato puro.
Argento, riprendendo lo stile dilatato dei
duelli western leoniani, aggiunge
arte all’omicidio e Refn prende minuziosi
appunti che userà diligentemente nelle sue future opere.
La messa in
scena in ogni singolo dettaglio è PERFETTA.
È talmente
perfetta che riesce a distogliere l’attenzione dello spettatore sia da cose che
non tornano per pura scelta registica (il bagno lercio nel magnifico teatro
dove la medium tiene il congresso di parapsicologia), sia dalla “soluzione del
caso” che il regista mette di fronte agli occhi di tutti. Come ne “L’uccello dalle piume di cristallo” Argento mette la soluzione in una
manciata di frame rendendola un qualcosa di puramente visivo, in netta
contrapposizione ai classici gialli alla Agatha
Christie.
La storia e
la risoluzione del mistero gira proprio intorno a questi pochissimi frame.
Marc sa di
aver visto qualcosa d’importante eppure non riesce a ricordarlo. Argento la
mette quasi sul piano meta-cinematografico: Marc non è altro che lo spettatore
che per mezzo secondo “ha visto qualcosa
di talmente importante da non rendersene conto” e che per tutto l’intero
film cerca in tutti i modi di ricordare, tanto da diventare una vera e propria
sfida… vitale.
Marc (David Hemmings), il protagonista, è un londinese,
pianista jazz, che vive in Italia da diversi anni insegnando al conservatorio.
Lui, che considera il genere maschile quello forte e predominante, è una
persona impaurita e principalmente introversa, a differenza della controparte
femminile Gianna (Daria Nicolodi), una
giornalista determinata, estroversa e piena di spirito che va in giro con una
simpatica 500 scassata.
Sono loro
due i veri detective giacché Argento aggiunge
quella sua flebile ed immancabile ironia scrivendo un commissario-macchietta, con
al seguito un corpo di polizia che assomiglia ad una banda di smandrappati, cui
non interessa minimamente cercare delle prove per chiudere definitivamente il
caso.
Tutto questo
grandissimo comparto registico, di messa in scena e di semplice ma ben fatta
scrittura dei personaggi è ulteriormente elevato dai superbi effetti speciali,
cui mise mano il grandissimo Carlo
Rambaldi, e dalla famosissima colonna sonora firmata dai Goblin e da Giorgio Gaslini.
E proprio
riguardo al sonoro, Argento fa
qualcosa di sensazionale.
Il maestro
del brivido inventa un sottogenere che diventerà il suo marchio di fabbrica: il
thriller
assordante.
Le sonorità
progressive dei Goblin, che picchiano
costantemente sui timpani, unite al montaggio sempre più volutamente frenetico
entrano in perfetta sintonia, generando un microgenere del thrilling davvero
interessante ed incredibilmente accattivante, che verrà completamente
sviluppato e portato al suo picco massimo nella sua opera successiva, “Suspiria”.
Ottima analisi, bravo. Senza dubbio Profondo rosso è uno dei GIALLI (e sottolineo gialli) più truculenti del regista Dario Argento, assieme a Tenebre. Ha secondo me alcuni difetti di sceneggiatura, più o meno marcati, ma è senza dubbio il suo capolavoro, il suo "marchio di fabbrica". Come hai detto giustamente tu a partire da questo film (anno 1975) il regista romano decide di aggiungere una componente fortemente horror ai film seguenti (e ne abbiamo subito riprova 7 anni dopo con tenebre e 11 anni dopo con Phenomena), anche se devo dire che tra i precedenti, Quattro mosche di velluto grigio (1971) è decisamente terrificante, un po' meno Il gatto a 9 code (1971), mentre L'uccello dalle piume di cristallo, il primo (1970) è sicuramente il meno sanguinolento. E' un film su cui davvero c'è tanto da discutere, solo una cosa è certa, va visto, rivisto e rivisto....è intramontabile, un film che ha fatto scuola negli anni a seguire (pensiamo solo per un momento a Lamberto Bava, spesso aiuto regista di Dario, che ha tirato fuori 2 film straordinari ispirati allo stile argentiano, oppure a Franco Ferrini, grandissimo scneeggiatore, quanti spunti ha preso sempre da Profondo rosso anche nel suo unico film da regista Caramelle da uno sconosciuto, del 1987).
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