Che Damon Lindelof sia uno che abbia sempre esagerato, penso
che sia risaputo, soprattutto dopo il finale di Lost che ha scatenato reazioni
negative da parte dei fan della serie da ogni dove (non da parte mia che l’ho
adorato follemente). E, infatti, solo uno come lui poteva scrivere una serie TV
come The Leftovers, che diciamocelo
francamente, è una serie che se sbatte di tutto e di tutti.
Era così già nella prima stagione con quel tempo scandito in
maniera talmente dilatato all’inverosimile che ai più poteva essere considerata
una serie TV noiosa, e con quell’evento così grande che però è lasciato lì, in
“sala d’attesa”, dichiarando in pratica ad ogni spettatore: “Cosa c’è? Volete anche sapere perché questi
qui sono spariti? Mi prendete per il culo, vero?”.
Infatti, la prima stagione di The Leftovers si basava tutto su questo giochino appena citato,
sull’avere un evento gigantesco e sul volerlo lasciar lì sullo sfondo. Oltre a
questo bisogna dire che le varie storyline dei personaggi erano raccontate in
maniera stilizzate senza entrare effettivamente nel vivo. A parte qualche
evento, tutto quello che sapevamo di loro, era la loro rabbia, delusione e
tristezza. Punto. Insomma un approccio molto ostico e davvero troppo elusivo
che non mi ha fatto mai apprezzare la prima stagione a pieno, riconoscendo,
comunque, un potenziale che nessun’altra serie di questo genere aveva.
Ed è proprio per questo IMMENSO potenziale che decido di
darle una seconda opportunità rimandando il giudizio alla stagione successiva.
La seconda stagione arriva e si porta via tutto da me.
Teoricamente potrei anche chiudere qui quest’articolo ma non lo farò perché non
me ne sbatto di tutto come The Leftovers.
Come dicevamo, questa serie se ne sbatte di tutto ed è per
questo suo modo di essere che decide di stravolgere tutto, e spiazza tutti con
un cambio di passo, estremizzando tutto. Cambio di scenografia (non più
Mapleton, ma Jarden/Miracle) ma soprattutto il modo in cui vengono raccontate
le varie storie dei personaggi. La dipartita del 2% della popolazione è
rilegata ulteriormente come sfondo e le storyline dei personaggi diventano il
vero cuore della serie. E non più come un vago sguardo da lontano ma come
un’immersione totale che toglie il fiato a ogni scena, e che ti distoglie
completamente dalla dipartita e non perché non se ne parli, ma perché non te ne
frega nulla. Quello che allo spettatore interessa in questa stagione sono i
personaggi e le loro storie, scritte e, soprattutto, raccontate in maniera
sublime.
E’ bastato pazientare una stagione per veder affiorare tutto
quel potenziale che si era solo intravisto in precedenza. Qui Lindelof non è stato
solo capace di metter in piedi un racconto in maniera perfetta, ha fatto di
più: è riuscito a prendere l’ambizione teologica/filosofica del finale di Lost
e di espanderla. In The Leftovers, Lindelof ha dimostrato a tutti che ha due
palle che gli fumano scrivendo una serie TV che molto probabilmente non sarà
una di quelle serie mainstream, ma una di quelle perle che pochi conosceranno e
che saranno gli unici ad apprezzarla a pieno.
(Vi lascio con due pezzi che compongono la colonna sonora di
questa stagione, l’ennesimo punto forte di questa serie).
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